I disturbi di personalità
Studiare la personalità non è affatto semplice. Di fatti, il termine stesso "personalità", sebbene venga usato quotidianamente da chiunque, rappresenta un concetto astratto, che può venire definito e concepito in modi diversi. La personalità, nel dizionario professionale dell'American Psychological Association, è definita come:
La configurazione stabile delle caratteristiche e del comportamento che comprende l'adattamento unico dell'individuo alla vita, includendo tratti, interessi, motivazioni, valori, concetti di sé, abilità e pattern emozionali1.
Ognuno di questi termini, cioè tratti, interessi, motivazioni, etc., rappresenta a sua volta un concetto astratto. È assolutamente legittimo che un lettore digiuno di psicologia ritenga che sia impossibile inquadrare scientificamente un costrutto quale quello della personalità. In realtà non è affatto così. Chiaramente, rimane vero che nel linguaggio comune, l'utilizzo di questo termine rimane aperto ad ambiguità. Anche nel contesto della psicologia accademica esistono, ad oggi, alcune divergenze in merito a come inquadrare questo fenomeno. Ma tali divergenze sono ormai note, e i diversi approcci teorici che rimandano al concetto di personalità vengono studiati in università, consentendo agli psicologi di avere ben chiaro quali siano le diverse modalità di inquadramento e misurazione dei fenomeni riconducibili a tale concetto. Per esempio, gli psicometristi tenderanno ad usare dei questionari durante il processo di valutazione, mentre un clinico potrebbe fare unicamente affidamento ai criteri dei manuali nosografici, o integrare tale conoscenza con l'utilizzo di interviste; psicologi di formazione comportamentista, pur riconoscendo la legittimità di professioni quali la psicometria e gli studi della personalità, tendono a focalizzarsi maggiormente sullo studio di pattern comportamentali in quanto tali, piuttosto che riferirsi ad una matrice teorica più astratta e, a detta loro, più ambigua ed arbitraria2,3,4. Ecco quindi che per i comportamentisti il concetto di personalità passa in secondo piano rispetto all'osservazione dei singoli comportamenti che vengono effettivamente agiti dai pazienti. Quanto appena espresso si riversa ovviamente nel dibattito inerente alla classificazione e ai trattamenti per i disturbi di personalità.
La personalità in psicometria
Primo tra tutti, l'approccio psicometrico classico5,6,7,8 riconduce diversi comportamenti ed atteggiamenti a pochi tratti di personalità fondamentali, quali, ad esempio, l'estroversione, la coscienziosità o il nevroticismo. Questi costrutti astratti vengono misurati attraverso l'analisi statistica delle risposte a determinati questionari. Grazie a questo approccio è possibile studiare le variazioni dimensionali di un individuo rispetto alla collettività, ed indagare le relazioni tra l'espressione di tali tratti e altri costrutti rilevanti a fini scientifici. Nel contesto clinico, quindi, l'utilizzo di un dato questionario consente allo psicologo di capire se il paziente presenta dei valori anomali rispetto ad un determinato tratto, garantendo quindi un inquadramento dimensionale delle problematiche di personalità dichiarate in sede di colloquio. Attraverso l'utilizzo di un determinato questionario è possibile anche investigare tratti di personalità più propriamente clinici, quali l'ideazione suicidaria o l'aggressività fisica, andando poi a confrontare le risposte fornite dai pazienti con le distribuzioni di probabilità osservate nel contesto sperimentale.
La personalità nel contesto clinico
Nel contesto clinico, il paradigma dominante è generalmente quello della classificazione nosografica. I principali manuali diagnostici considerano i disturbi di personalità come sindromi qualitativamente differenti9,10. In generale, il DSM definisce i disturbi di personalità come pattern stabili di tratti di personalità e di comportamenti che deviano dalle aspettative della cultura di appartenenza. La configurazione personologica dei tratti non solo risulta deviante, ma appare soprattutto pervasiva ed inflessibile, causando una compromissione significativa del funzionamento dell'individuo relativamente al contesto sociale, occupazionale, sessuale o ad altre aree fondamentali per il benessere della persona9. Precisamente, nel DSM-5, vengono elencati 10 disturbi di personalità:
- Disturbo Paranoide di Personalità, caratterizzato da diffidenza e sfiducia ingiustificata verso gli altri; timore di venire manipolati o raggirati
- Disturbo Schizoide di Personalità, caratterizzato da distacco e disinteresse nei rapporti sociali, nonché da appiattimento emotivo
- Disturbo Schizotipico di Personalità, caratterizzato da ritiro sociale, alterazioni del pensiero e della percezione, bizzarria
- Disturbo Borderline di Personalità, caratterizzato da instabilità dell'immagine di sé, dei rapporti interpersonali, impulsività e labilità emotiva
- Disturbo Narcisistico di Personalità, caratterizzato da egocentrismo patologico, pensieri di grandiosità, mancanza di empatia
- Disturbo Istrionico di Personalità, caratterizzato da emotività eccessiva, continua ricerca di attenzione e teatralità
- Disturbo Antisociale di Personalità, caratterizzato dalla sistematica attuazione di comportamenti illegali, da carenza di empatia
- Disturbo Evitante di Personalità, caratterizzato dall'evitamento di situazioni sociali che comportano il rischio di rifiuto, la critica o l'umiliazione
- Disturbo Dipendente di Personalità, caratterizzato da una eccessiva necessità di cure altrui, che porta alla sottomissione
- Disturbo Ossessivo Compulsivo di Personalità, caratterizzato da preoccupazione per il perfezionismo, l'ordine, il controllo
Per approfondire il tema delle problematiche legate alla psicodiagnostica, invito a leggere questo articolo.
Personalità ed integrazione
Appare evidente che gli approcci sono molto distinti tra loro. Spesso, molti psicologi lavorano sui disturbi di personalità utilizzando prevalentemente un singolo orientamento. Nonostante alcuni dibattano su quale sia più efficace, mentre altri lavorino maggiormente nell'ottica di integrare più modelli teorici, vi sono sicuramente tutt'ora diverse diatribe accese. Ci sono però alcune cose che è importante sottolineare. Innanzitutto, risulta fondamentale ricordare che, quando si parla di Disturbi di Personalità, il termine induce a pensare che vi siano personalità sane e personalità malate, quando in realtà non è così. Il lavoro del clinico non è finalizzato alla classificazione dell'individuo come patologico o meno, aspetto che, peraltro, risulta poco sensato dal punto di vista scientifico. Piuttosto, la classificazione diagnostica è un primo passo verso una valutazione globale del funzionamento della persona, dove il punto focale non è la devianza del suo comportamento, quanto la sofferenza e la disfunzionalità che i suoi tratti distintivi gli arrecano nel quotidiano15,16. Sarà la formazione e la competenza del clinico a guidare il processo di valutazione, andando ad indagare maggiormente gli aspetti che riterrà più opportuno investigare, spesso de facto andando ad integrare visioni teoriche diverse per avere una visione d'insieme globale più funzionale alla risoluzione delle problematiche esperite dal paziente.